La donna, assistente inconsapevole. Spettatrice del suo mistero. La mortalità prende vita nel corpo della donna e manifesta il suo disvelamento. La morte abita il corpo della donna e quel suo stesso corpo diviene spazio dell’abitare della morte. In un silenzio rappreso la carne, il corpo, è il passaggio, il canale, la soglia attraverso cui le fibre dell’origine si manifestano. Poiché solo la sua architettura intima lo rende possibile, la donna è materia incarnante, è deità incarnante in cui Vita e Morte, numeri primi dell’esistenza, hanno luogo. L’onore di poter fruire dell’intreccio più intimo tra il corpo e le fibre dell’origine, tra materia e trascendenza, è istante sacro di contemplazione. La donna si annienta nel proprio farsi tramite. Custode di questo mistero, può riconoscere la dignità suprema della sua essenza ricongiungendovisi. La vertigine e il vuoto che lascia la morte venendo alla luce è allora spazio di illuminazione, di trasmutazione, una gravità nobile e solenne con la quale la donna tocca un’immensità intima entro cui ritrovarsi.